lunedì 22 agosto 2011

Commercio equo e solidale? Forse...

Insieme a Sem, abbiamo cominciato a dare una mano ad un gruppo di Bazzano che si occupa di commercio equo e solidale. La gente è molto in gamba e simpatica, i propositi e le idee sono giuste e carine.
Nonostante tutte queste cose positive, però, c'è sempre qualcosa che mi si arrovella nel cervello quando penso al commercio equo... E' davvero giusto incentivare queste monocolture per rivenderle al cosiddetto "occidente" come prodotti certamente sviluppati senza sfruttamento del lavoro, ad un reddito giusto, ecc ecc, ma che comunque arrivano come prodotti "esotici" o peggio ancora "etnici"? Perchè è "giusto" comprarmi una marmellata di mango quando poi il contadino a fianco a me la fa con le sue pesche?

Sono convinta che l'unico modo per sopravvivere a questo enorme fallimento del capitalismo che stiamo vivendo oggi, sia incentivare lo sviluppo locale, le produzioni a km zero, l'agricoltura familiare. E credo che il commercio equo e solidale, per lo meno nella sua forma del commercio in occidente, non sia la strada giusta.
- Incentiva le monocolture, aumentando i rischi legati alla mancanza di diversificazione delle produzioni.
- Non è a km zero, e quindi comporta inquinamento, dispendio di risorse per il trasporto, ecc..
- Si pone in concorrenza con le produzioni locali, seppur con prodotti diversi.
- Non propone sostanzialmente generi davvero necessari, ma molto spesso legati alla "curiosità del diverso".

Nonostante ciò, è chiaro che i principi di base sono assolutamente indiscutibili, come il rispetto del lavoro, ecc.. Occorre però ripensare a questo modello, e renderlo uno strumento di sostegno soprattutto a livello locale.

9 commenti:

  1. Cara Alessia,
    intanto grazie per la citazione nel tuo interessantissimo blog... continua a parlare di Solidarietà Impegno: è una gran pubblicità!
    Da anni cerchiamo di fare qualcosa -poco, pochissimo!- nel campo del Commercio Equo e Solidale, e cerchiamo per quanto possibile di interrogarci su quello che facciamo e di ragionare e formarci anche a livello teorico. Tutte le obiezioni che sollevi sono intelligenti e “forti”, noi stessi le sentiamo, ma ti propongo qualche visione che ribalti la frittata...
    Tu metti 4 punti principali.
    - “Incentiva le monocolture”. Hai ragione, può sembrare così, e molto spesso lo è, ma il CES non si muove come le multinazionali normali, imponendo quello di cui abbiamo bisogno in occidente. Cerca al contrario di sostenere e favorire quello che le persone sono in grado di fare. Faccio un esempio: di sicuro il colonialismo ha costretto la popolazione della zona del Caffè Uciri del Messico a produrre solo quello. Ma ora, dopo secoli che lo fanno, dovremmo arrivare noi -belli istruiti e con la verità in tasca- a dire: “Scusate, ci siamo accorti di avere sbagliato, vi abbiamo costretto a fare caffè, però ora abbiamo studiato e imparato che i vostri avi producevano altro (che voi non fate più) e dovreste tornare a quello... sapete, è per il vostro bene!” Sono provocatorio, ma non sarebbe un tantino supponente? Poi stai sicura che invece, nelle zone in cui ci sono prodotti veramenti tipici e locali, vengono incentivati quelli.

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  2. - “Non è a km 0”. Verissimo, obiezione giustissima su cui si interrogano -seriamente, te l'assicuro- anche i “grandi” del CES. La risposta che mi convince di più è sulla linea della precedente. Noi dovremmo andare da questi disgraziati che abbiamo tenuto (e teniamo ancora) in schiavitù economica e dire: “Guardate, ci dispiace molto, ma dopo aver fatto i comodi nostri e inquinato e saccheggiato a man bassa per 3 secoli, ci siamo accorti che la terra non può sostenere tutto questo. Quindi, per cortesia, vogliate scusarci ma dobbiamo impedirvi di peggiorare la situazione: il modello economico su cui noi abbiamo fatto i nostri comodi a voi è precluso. Per favore, producete e comprate e vendete tra di voi per conto vostro senza trasportare e inquinare. Grazie.” Noi dobbiamo assolutamente trovare un'alternativa, ma non possiamo farla cadere ancora una volta sui paesi e i popoli più poveri...
    - “Si pone in concorrenza con le produzioni locali.” I rischi non sono pari a zero, ma il CES prevede che una parte consistente dei proventi sia destinata allo sviluppo sociale e economico della comunità. Per cui dovrebbe in realtà incentivare lo sviluppo di una microeconomia locale grazie ad un maggior benessere e una maggiore indipendenza economica dei membri della comunità. Migliori condizioni di vita e di salute, unite ad una istruzione più elevata, dovrebbero favorire una progressiva minore dipendenza dall'Occidente. Più facile a dirsi che a farsi, ma gli sforzi ci sono...
    - “Non propone generi davvero necessari.” Verissimo, ma se dovessimo basare la vita umana solo sul necessario, dovremmo togliere molto. La musica, la letteratura, il cinema, lo stesso ritrovarsi tra amici, niente di tutto questo è “necessario” per vivere... Quello che distingue l'uomo dagli animali è l'aver arricchito la sua vita di “optional” (che devono essere sensati e intelligenti, non la play station e la moto, intendiamoci!!!) che la rendono più saporita e bella. Sarà gusto dell'esotico, forse, ma la mattina, quando guardo l'alba dalla finestra aperta e verso muesli sudamericani nello yogurt fatto in casa da mia mamma, assaporo la felicità...

    Tutto questo solo per ragionarci sopra, senza polemica, e vedere che le cose sono molto complesse e degne di riflessione insieme. Io credo che, alla fine dei conti, il tuo obiettivo delle economie locali sia l'unico che rimarrà e ci “salverà”. Ma ora non possiamo forzare le cose e dobbiamo permettere anche a chi non ha potuto farlo finora di godere dei pochi aspetti sani del capitalismo e della globalizzazione. E, nel frattempo, dobbiamo elaborare un'alternativa sostenibile...

    (scusa la lunghezza)

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  3. (sono Alessia, ma google mi da problemi di account)

    Grazie grazie grazie per la risposta. In effetti l'idea del post era un pò quella di far "partire la polemica" ma soprattutto il dialogo. Il mio problema principale è che mi trovo assolutamente in mezzo tra le mie riflessioni e le tue. Ho fatto la volontaria un anno a Roma in una bottega del commercio equo, conosco piuttosto bene le dinamiche, gli scopi, gli strumenti. E i miei studi mi hanno sempre indirizzata in questo senso. Finchè mi sono trovata a scontrarmi con due realtà:
    - la prima è quella dei GAS: potenzialmente, la loro finalità è esattamente opposta a quella del CES....
    - la seconda è quella che ho studiato per la mia tesi, ovvero quella dell'agricoltura familiare in Africa Occidentale, che si scontra duramente con le politiche neoliberiste che l'UE porta avanti fuori dai propri confini (se ti interessa, cerca qualcosa sugli Accordi di Partenariato Economico...).
    La crisi alimentare che attanaglia molti paesi del Sud è in parte legata anche agli investimenti nelle produzioni alimentari da esportazione, e i paesi che producono ad esempio cacao (monocoltura che spesso rappresenta oltre il 40% del PIL) costringe i paesi a importare tutto il resto dall'estero (spesso dall'UE, che grazie alla PAC esporta a bassissimi prezzi, creando l'effetto dumping).
    Insomma, la questione è davvero complicatissima, e non si risolverà certamente qui, però mi piace pensare che potrebbe essere un buono stimolo di discussione e, perchè no, di costruzione di qualcosa di nuovo, buono e giusto! :)

    ps: la verità è che spero di poter continuare a mangiare per sempre le barrette di cioccolato bianco con gli anacardi perchè mi fanno impazzire!!!! :D

    pps: una carissima amica, anzi direi la mia seconda mamma, è stata l'ideatrice della cooperativa del caffè ad Uciri... Ma questa è un'altra storia, che vi racconterò... ;)

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  4. Aggiungo anch'io un commento, anche perchè voi siete qua a parlare tanto nel tino poi ci finisco io :)
    Quale sia un modello economico che possa funzionare in prospettiva è una domanda che mi chiedo da tanto (libero mercato "corretto" alla Stiglitz, economia solidale alla CommercioEquo, piccole comunità alla "AlessiaBart"...) ma mi sono risposto che tanto la risposta non la troveremo a breve.
    Tra l'altro il modello CommercioEquo potrebbe avere implicazioni non scontate a livello economico difficilmente comprensibili a noi comuni mortali che proviamo a fare qualcosa di buono (vedi http://www.ssireview.org/articles/entry/the_problem_with_fair_trade_coffee/).

    Quindi? Il mio approccio semplicistico è, come un po' dice Giacomo, di mettere la giustizia nei confronti del Sud del Mondo davanti alla verità assoluta in campo economico che tanto non conosco, e anche alle emissioni di CO2 (bestemmia?). Questo credo sia lo scopo anche di Solidarietà Impegno, oltre che di continuare a pensare e dibatterne.

    Infine solo un concetto che non è venuto fuori sopra: per dirla con Petrini e SlowFood, lo scambio è un'affermazione di identità, e questo vale anche per le culture e la biodiversità dei cibi. La vendita in Europa del dattero del Sahara è l'affermazione stessa dell'esistenza dei Berberi in quanto dotati di identità diversa dalla nostra.
    Questo non difende le sterminate monocolture haitiane, ma credo sia un punto di riflessione per il km0 nudo e puro.

    Parola di sicuro ignorante.
    Augh!

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  5. Grande, Fippo!
    Lo spunto sull'affermazione di identità è veramente bello e mi ha fatto ritirare fuori un libro di Enzo Bianchi, "Il pane di ieri"... by the way, leggetelo! :-) Non so chi abbia ispirato chi, ma le idee richiamano molto quelle di Petrini. E si riallacciano molto bene anche al km 0.
    Se uno ci pensa bene e a fondo, il km 0 assoluto è un'utopia e forse l'uomo non ha mai avuto un vero e proprio km 0. Forse solo nella preistoria, ma altrimenti i cibi sono il frutto della fusione di culture e degli scambi tra genti diverse...
    Mi permetto di riportare uno stralcio bellissimo del libro! Sta parlando del ragù... :-)

    "Che meraviglia! Prodotti che venivano dall'orto e dal pollaio, ma anche l'olio che veniva dalla Liguria, il sale dalla Sardegna, il pepe dal lontano Oriente... Alimenti convocati insieme da terre diverse per "fare gusto" e per "fare festa": sì, in un semplice ragù si contempla la natura che diventa cultura, l'umile locale della cucina che si trasforma in laboratorio d'arte che sforna profumi e sapori. Pochi ci pensano, ma il cibo, come il linguaggio parlato, serve a comunicare, a conoscere e scambiare le identità perché esprime sì l'identità di una terra e della sua cultura, ma sa assumere anche prodotti che vengono da altri lidi e altri culture: anche il semplice ragù è tributario di regioni così lontane."

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  6. Ragazzi, ragazzi... è ovvio che il km0 nudo e crudo non piace neanche a me! E chi rinuncerebbe ad un ottimo cous-cous, alle banane, alla CIOCCOLATAAAAA!!! Parafrasando Crozza-Bersani, "siam passi??" :)
    Il modello "CommercioEquo" ha dei presupposti di base indiscutibilmente giusti e indispensabili per la "sopravvivenza" di tutti: retribuzioni giuste, ridistribuzione degli utili nella comunità produttrici per lo sviluppo, e più ampiamente la giustizia sociale. Per non parlare dello scambio e della bellezza della multiculturalità del cibo, come ricorda Enzo Bianchi (conosco il libro, meraviglioso).
    E vi assicuro che questi principi sono alla base delle mie convinzioni, dei miei studi e "spero" della mia vita, e sarà bellissimo far cadere Filippo 500 volte nel tino in nome di tutto questo!!! ;)
    Mi chiedo solo quanto questo modello, al di là dei suoi principi, possa essere utile in questo momento di crisi alimentare ed economica fortissima: basare le esportazioni su un solo prodotto, o meglio, basare i redditi di una comunità su un'unica produzione, non è eccessivamente rischioso se per caso, come sta succedendo, i prezzi del cibo salgono alle stelle e quel prodotto (tra l'altro non di prima necessità) non viene più acquistato?
    Forse bisognerebbe semplicemente "ripensare" il modello "CommercioEquo", mescolarlo ai principi di Stiglitz (detto tra noi, uno dei pochissimi economisti davvero intelligenti), e perchè no, farcirlo di più incentivi allo sviluppo locale e alla mia tanto amata agricoltura familiare!

    Detto questo, propongo di contattare la facoltà di Economia o anche di Agraria (tramite mio prof, sua santità Andrea Segrè), e organizzare un incontro-dibattito sul tema, ovviamente organizzato da Solidarietà e Impegno... Che ne dite??? :D

    Ok basta, mi godo il mio giorno di malattia sul divano causa schiena da novantenne. Sono davvero contenta di questo scambio e non vedo l'ora di spendere tutti i miei averi per far centro sul bersaglio del tino!!!! E state tranquilli, il 9 settembre convincerò tutta Bazzano a comprare fino all'ultima cioccolata! Facciamo l'evento su FB?

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  7. Penso che in tutti questi problemi non si possa ragionare per assoluti. Il "km 0" è un principio importante (perché comprare pesche che vengono da Latina quando le posso acquistare dal contadino dietro casa?) ma non credo che possa diventare l'unico criterio. A meno che l'obiettivo che ci si prefigge non sia un'economia di sussistenza. Nel caso, allora, d'inverno tutti a pane e castagne. Sareste d'accordo?
    Non credo che l'autarchia agricola totale sia il modello migliore per il nostro disastrato mondo. Sono per la convivialità delle differenze: ognuno porta sulla "tavola" dei popoli ciò che meglio sa fare, il frutto del proprio territorio, della propria cultura, della propria tradizione e del proprio ingegno... ma poi i piatti vengono fatti girare e ognuno si ciba di ciò che trova di suo gusto. Una metafora culturale (oltre che un'esperienza gustosa per chiunque abbia partecipato a una cena multietnica), ma che penso abbia un significato anche in campo economico.
    Del resto un'economia di pura sussistenza non c'è mai stata: anche nel Medioevo (per non parlare della "globalizzata" civiltà ellenistico-romana) i preziosi beni "esotici" sono sempre stati esportati dai luoghi di produzione a quelli di consumo. Più in generale, la produzione di un sovrappiù di cibo rispetto alle strette necessità coincide con l'origine stessa della civiltà...
    Questo coincide necessariamente con lo sfruttamento e l'oppressione di una classe sull'altra o di un popolo sull'altro? Credo di no, e il commercio equo e solidale è lì per dimostrarlo. In questo senso, anzi, le sue finalità coincidono con quelle dei Gas e di tutto il movimento che li sostiene: costruire un rapporto equo e sano tra produttori e consumatori - che siano contadini del campo dietro casa mia o degli altipiani del Kenya. E piuttosto che chiedermi se sia o meno un mio diritto acquistare un barattolo di marmellata di mango (ma allora anche una bottiglia di vino siciliano...) vorrei che un giorno anche i produttori kenioti di mango potessero porsi la stessa domanda per un litro di lambrusco o un chilo di nettarine di Romagna.

    Luca
    www.pentagras.wordpress.com

    (sempre avuto grossi problemi con le ID di blogspot...)

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  8. sono sem.. che dibattito! e io sono così poco sintetico e così tanto romantico! mi accorcio..
    1)ma siamo una grande famiglia?? stiglitz, il priore Bianchi.. quante care citazioni! chi è che è entrato nella mia libreria? e poi.. grazie per gli spunti.. alcuni interventi sono "pesantissimi"!
    2)il commercio equo.. uno dei suoi fini è garantire condizioni di lavoro eque in tutto il mondo; livellare in alto, per quanto possibile, le "garanzie" del lavoro; dignità e giustizia.. direi che in due parole ce n'è già abbastanza.
    3)ah! .. e permettere ai popoli ed alle culture di incontrarsi.. di esistere, come avete detto, in un grande banchetto di gioia..
    4)chiedersi e cercare di capire se si può "fare meglio" non vuol dire rinunciare a tutto questo!
    io sono molto vicino a Filippo, come "area di interesse" e come spirito: il modello economico, il modello di sviluppo (quale sviluppo?), il rapporto con la società..
    ora.. inizio con il polpettone: prego tutti di correggere e aggiustare il mio tiro.. mi piace arrovellarmi su questa cosa, sapendo che non cambierò il mondo e che è meglio - intanto - fare almeno qualcosa (w l'approccio semplicistico).
    il commercio.. all'asilo ci insegnano i vantaggi comparati: i Paesi A e B devono specializzarsi nei prodotti dove hanno più produttività marginale e commerciare per avere gli altri- questa è la base delle relazioni economiche tra i popoli..ma ci sono anche i monopoli e i fallimenti del mercato, il land grabbing, i popoli occidentali come enormi consumatori.. che relazione c'è fra tutto questo?
    il km.0 ha senso per i prodotti agricoli, per la loro particolare caratteristica di deperibilità. non c'è dunque una guerra fra km.0 e commercio. anche in materia agricola, ci sono studi secondo i quali si sprecano molte meno risorse ed energia con una produzione concentrata rispetto ad una diffusa. non è dunque una questione ambientale.
    Agricoltura familiare non vuol dire agricoltura di sussistenza. si contrappone ad agricoltura industriale. e non vuol dire autarchia (??), si contrappone a monocoltura e concentrazione delle proprietà.

    Perchè allora agricoltura familiare e non industriale? e il commercio equo come interagisce con queste realtà? e prima di tutto, ha senso porsi questa domanda?

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  9. punto 3) sì, ha senso. bisogna capire e agire e, come ha detto GIacomo magistralmente, senza mentalità da colonizzatori: "ci siamo sbagliati, scusate ma dovete cambiare..." è una frase terribile; uguale rischio c'è in "abbiamo capito un'altra cosa, ma voi continuate pure, anche se così, allo stato della nostra conoscenza, vi state scavando una fossa".. è difficile.. bisogna non camuffarci da colonizzatori e non prevaricare la libertà dei popoli e degli individui!

    punto 2) ora un campesino nicaraguense o vende caffè ad una qualche multinazionale a 1 cent o tramite il commercio equo a 1 dollaro,che poi qualche profitto lo reinveste pure nella comunità.
    beh meglio il commercio equo, a breve.
    anche perchè, secondo la teoria ufficiale, nel mondo non c'è scarsità di cibo,e basta aumentare i redditi per far accedere le persone alle risorse di cibo e farle uscire dalla povertà.
    solo che il prezzo del cibo, per oscure ragioni, aumenta molto più dei salari. infatti abbiamo avuto due crisi mondiali dei prezzi del cibo, e milioni di persone si sono trovate con redditi troppo bassi per comprare da mangiare. Di Più: i maghi della finanza acquistano terreni agricoli (voci ovviamente), scommettendo sull'aumento di valore dei terreni che producono risorse alimentari.
    e se il prezzo del cibo aumenta così tanto, un modo per garantire ricchezza al campesino è dargli la possibilità di coltivare cibo, non di dargli solo soldi. non è che se diamo al campesino un dollaro, nel medio periodo, questo si ritrova a poter comprare due bottiglie di coca cola ma non il grano o il riso?

    punto 1) l'altro elemento è che l'agricoltura industriale, con appezzamenti sconfinati, si basa sulla concentrazione della proprietà, e quindi su aziende price maker. in questo momento storico, poi, basandosi su monocoltura e OGM, addirittura riescono ad essere efficienti solo con un impiego massiccio della chimica, che sostituisce il lavoro umano (la zappa..). e con l'impiego di monovarietà, che impoveriscono la ricchezza di biodiversità e di cultura dei popoli. questa ricostruzione ha alla base fior di cervelli provenienti dal "terzo mondo":vandana shiva, ma anche Carlo Petrini.

    e dunque, siamo sicuri che le monocolture delle cooperative sono la risposta migliore alle monocolture delle multinazionali, anche se sono migliori? anche perchè, non è che il campesino voglia le nettarine italiane.. intanto, facciamo in modo che si costruisca la possibilità di mangiare sempre..

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